di Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it
Insomma, ecco qui: abbiamo un problemino col popolo. A giudicare dai solenni scritti sul referendum britannico sembrerebbe una gran rottura di palle, e le analisi si concentrano sulla particolare composizione dell’elettorato inglese: da una parte i colti, benestanti, saggi, europei con casa in centro, libri e afflato democratico, e giovani; dall’altra buzzurri, contadini, anziani scontenti, razzisti, xenofobi e tutti quelli che fanno la doccia solo al giovedì. Non è facile trovare le parole per questo, ma si può sempre provare: quello buono è il popolo, e gli altri sono i populisti.
Ora, questa faccenda dei populisti sembra sistemare ogni cosa: tamponi sull’autostrada? Colpa dei populisti. Non ti viene il soufflé? Populismo!
E’ una nuova accezione della parola popolo che pare accettata a sinistra: come il colesterolo, c’è quello buono (progressista, che legge i giornali e vota come si deve) e quello cattivo (zozzoni). Un dibattito che non è solo inglese, basti pensare che la parola popolo qui si pronuncia “periferie”, cioè quelle che bellamente nelle recenti elezioni se ne sono andate facendo ciaone al Pd. Dopodiché, giù analisi sulle periferie che “le abbiamo abbandonate”, che “ora sono la priorità”, eccetera eccetera.
Il berlusconismo buonanima aveva risolto il problema privilegiando la “gente” a discapito del “popolo”, ma poi non aveva resistito al suo speciale populismo e si era battezzato Popolo delle libertà, un testacoda notevolissimo. Testacoda anche inglese, perché a chiamare il popolo a votare era stato quel Cameron (uno che ha studiato a Eton e Oxford, uno per cui il popolo è quello che ti sella il cavallo nella tenuta di campagna) che sperava nel plebiscito, e poi è passato da “dinamico leader” a “coglione conclamato”.
Eravamo abituati a pensare alla Gran Bretagna come a un posto decisamente fighetto, compostamente in coda alla Tate Gallery, e ormai quando qualcuno ci faceva vedere la vera Inghilterra (tipo Ken Loach) si mormorava: uh, che palle, ancora con questi poveri! E come sono brutti! Perché non si comprano qualcosa in Oxford Street?
Ma resta il problema: ammesso e non concesso che il 52 per cento dei britannici sia incolto, burino, razzista, ignorante, stupido ed egoista, quale democrazia matura mantiene più della metà del suo popolo in condizione di incultura, burinaggine, razzismo, ignoranza stupidità ed egoismo? E’ una specie di equazione della democrazia: se i poveri sono ignoranti bisognerà lavorare per avere meno poveri e meno ignoranti. Questo significa welfare e riduzione delle diseguaglianze, mentre invece da decenni – in tutta Europa e pure qui da noi – si è ridotto il welfare e si è aumentata la diseguaglianza. La sinistra dovrebbe portare il popolo alla Tate Gallery, non sputargli in un occhio dicendo che è diventato razzista. Eppure.
Che il popolo sia una gran rottura di coglioni è peraltro noto da sempre, chiedere a Luigi XVI, agli zar, ai tedeschi in ritirata sulla linea gotica. E in più ha una sua specifica tigna: o gli tocca qualche quota nella distribuzione della ricchezza e del benessere, oppure si incazza con modalità impreviste, anche deplorevoli. Ora va di moda dire che il popolo inglese ha seguito l’impresentabile Farage, che però vanta meno di un quarto dei consensi raccolti dalla Brexit. Così come qui prevale la moda di dire che il popolo poi sceglie Salvini, mentre Salvini conta, per fortuna, meno del due di picche. Insomma, abbiamo un problemino col popolo brutto, sporco e cattivo. Un tempo, quando si leggeva Marx (uh, che noia!) si sarebbe detto che siamo alle prese con una questione di classe. Oggi che tutto è più moderno e veloce, si sistema la questione archiviando il popolo come nemico, incolto, malvestito e un po’ ignorante. E’ più facile, è più smart, ma un po’ rischioso.