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1° Italia, 2° Cina, 3° Giappone

6 Febbraio 2010 da sgur_di_tri

Siamo primi in classifica! Pensate: siamo primi nel mondo! Scherzi a parte, non c’è di che essere orgogliosi, o di che vantarsi, purtroppo. Tutt’altro, ma, come ci racconta il giornalista Marco Panara de La Repubblica (vedi qui), l’Italia sarebbe prima nella classifica dei G5 delle mafie.

In questa speciale classifica delle “grandi” mafie mondiali, quelle italiane (mafia, camorra e ‘ndrangheta, prese nel loro complesso) sarebbero infatti le più potenti (seguite da Cina, Giappone e, poi per completare il quintetto, Russia e America del Sud), mentre “per volume d’affari dell’economia criminale, l’Italia è il secondo mercato del pianeta, dopo gli Stati Uniti, e prima del Giappone e della Cina”.

E’ la prima volta – come possiamo leggere – che “i numeri e i sistemi di relazioni che sono alla base di questi immensi affari illeciti vengono messi insieme” da 18 esperti internazionali, con una analisi indipendente realizzata dal Global Agenda Council on Illicit Trade promosso dal World Economic Forum, presentata nei giorni scorso a Davos (Svizzera), e il risultato sarebbe sorprendente (ma solo per chi non segue con attenzione questi fenomeni).

Si afferma, tra l’altro, che le mafie hanno cambiato natura nella gestione dei loro affari (droga, prostituzione, traffico di organi, corruzione, contraffazione, traffici illeciti, finanziamento del terrorismo, ecc.): «le vecchie specializzazioni si sono affievolite, gli ambiti territoriali si sono allargati e anche l’ organizzazione si è trasformata, è meno piramidale e più orizzontale, invece del vecchio capo cartello al quale riferiva l’intera organizzazione ora prevalgono organizzazioni più piccole, i “cartellini” come vengono chiamati in America Latina» (o “cosche”, come le chiamiamo noi).

A tale proposito, uno di questi esperti, l’italiano Sandro Calvani, Direttore del Centro di Ricerca dell’ONU sulla Criminalità Internazionale e la Giustizia (UNICRI), spiega così la situazione: «Mafia, camorra e ‘ndrangheta hanno il monopolio dell’importazione di stupefacenti in Italia e sono leader assoluti nella distribuzione di prodotti contraffatti in Europa e nell’ area del Mediterraneo, controllano il traffico est-ovest e quello nord-sud, hanno la rete e grandi capacità di collegamento tra i produttori e i mercati. Dominano il settore delle contraffazioni “perfette” quelle che nemmeno i produttori degli originali riescono a distinguere, grazie a collegamenti con artigiani e fabbriche nel sud est asiatico. Sono rapidissimi nel riciclaggio di denaro sporco in affari leciti, spesso immobiliari o commerciali, in Italia e all’estero».

Non so cos’altro aggiungere, se non che notizie di questo tipo sembrano non interessare più nessuno, ma noi, vogliate o no, continuiamo a fornirvele lo stesso.

Una nazione immobile

5 Febbraio 2010 da Emilio Conti

Propongo un articolo su un noto personaggio politico italiano di “sinistra”. Quando, alla fine, leggerete QUANDO è stato scritto capirete perché, per questa povera nostra Italia, non ci siano speranze.

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D’Alema non lo sa ma qualcuno dovrebbe dirglielo, amichevolmente. Quando appare in televisione, cioè ogni minuto e mezzo, fa ormai pensare a una parodia, a un’involontaria presa in giro di sé e degli altri. Somiglia sempre di più, con tutto il rispetto, a Peppino De Filippo. Se avessimo ancora qualche speranza che una coalizione democratica decorosa e una sinistra visibile (ultima novità) possano vincere un confronto elettorale con la destra dilagante, D’Alema riesce a togliercela senza rimedio. Occhetto era altrettanto irritante, ma meno deprimente.

Se esistesse, la dirigenza del Pds dovrebbe legare l’attuale segretario, sia pure con quei guinzagli elastici che permettono un certo raggio d’azione, invece di delegargli il potere di intorbidare ogni cosa. Ma per esistere, una dirigenza non dovrebbe essere fatta a immagine e somiglianza del principale, tanti occhettini e d’alemini a seconda delle circostanze.
Vien quasi da dubitare che un Pds esista, se non come area elettorale, tant’è remissivo. E infatti Veltroni o chi per lui lo scioglierebbero volentieri, e prima o poi lo faranno. Le bolognine si tirano l’un l’altra, come le ciliege, e non finiscono mai. Quando si parte col piede sbagliato si ruzzola fino a rompersi l’osso del collo, per legge di gravità. Un anno fa c’era ancora qualche possibilità di rivincita o rivalsa sullo sciagurato voto del 27 marzo. Berlusconi era caduto malamente, la destra era presa in contropiede, un sussulto democratico era pur vagamente nell’aria. Un leader politico minimamente dotato e coraggioso, una sinistra minimamente convinta, avrebbero colto l’attimo, passato il Rubicone (che poi è un fiumiciattolo), allargato il varco e espugnato Saigon.
Le elezioni in quel giugno (quello passato, non quello venturo), sarebbero state una vittoria politica, anche se fossero risultate tecnicamente neutre.

Ma scherziamo? La volpe di Gallipoli e gli addetti all’ingegneria e idraulica di Montecitorio sono molto più astuti di così. Hanno studiato la storia al liceo e hanno deciso di temporeggiare e logorare il nemico (come Fabio Massimo), di reclutare in ogni dove banchieri e giustizieri simbolici nonché truppe cammellate padane (come Scipione l’africano) e di giocare a sottomuro con le figurine della Costituzione nei cortili del Quirinale.  Col risultato che, dopo un anno, il logoro Berlusconi risplende come un lord protettore della politica nazionale e l’imberbe Fini come punta di diamante della nuova repubblica (la III in ordine cronologico e gerarchico, la I essendo
per lui quella di Salò).

Ora lo scaltro D’Alema, dopo questo capolavoro di tattica e strategia, ci rassicura in interviste giornaliere e incredule assemblee che non farà porcherie ma solo democratiche intese e governi conseguenti. Ma non ci aveva scritto poco fa che questi progetti erano nostre invenzioni calunniose? Sì, ma è appunto con questi giochi di parole che si vendono i tappeti nei suk.

Le farà, le porcherie, ne farà di crude e di cotte nel lungo brodo da caserma della crisi governativa e del semestre europeo. Non c’è nessun bisogno di aspettare per credere, le ipotesi di crisi bicefale, governi a mezzadria, maggioranze cumulative e trasversali, commerci costituzionali e legislativi, mascherate presidenzialiste, sono porcherie già consumate per il solo fatto d’essere formulate. Un’orgia di craxismo ritardato, un credito dispensato a piene mani alle culture di destra di ogni specie.

C’è del metodo in questa follia, non è più una politica ma tutta una mentalità. Affrontare le elezioni significa ormai, per il leader minimo, una sconfitta campale. Per ritardarla sarà dunque opportuno mettere a repentaglio tutto, anche l’onore come si diceva una volta, o semplicemente il decoro. Non quello personale, che è affar suo e di ciascuno, ma quello della sinistra e della democrazia, e questo non dovremmo permetterlo. Purtroppo, accade già nella realtà di ogni giorno, non c’è di nuovo bisogno di aspettare per credere: se sbattiamo in galera gli immigrati clandestini, possiamo anche inserire questo sano principio nella Costituzione riformata.

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L’articolo è di Luigi Pintor ed è stato scritto QUATTORDICI anni fa!

Il colore viola

4 Febbraio 2010 da Emilio Conti

IMPEDIMENTO UN CAZZO!

Cachi, fichi d’India e banane

3 Febbraio 2010 da Emilio Conti

Indovinello irriverente

2 Febbraio 2010 da Emilio Conti

Indovinate chi ha pronunciato queste parole:

“Sono fiero di appartenere ad uno Stato in cui un premier può essere investigato come un semplice cittadino. Un premier non può essere al di sopra della legge, ma nemmeno al di sotto. Se devo scegliere fra me, la consapevolezza di essere innocente, e il fatto che restando al mio posto possa mettere in grave imbarazzo il Paese che amo e che ho l’onore di rappresentare, non ho dubbi: mi faccio da parte perché anche il primo ministro dev’essere giudicato come gli altri. Dimostrerò che le accuse sono infondate da cittadino qualunque”.

Cultura locale

1 Febbraio 2010 da Emilio Conti

La cultura è imprescindibile dalla conoscenza, dal momento che la cultura viene definita come l’insieme delle conoscenze di un individuo. Quindi, conoscere per essere colti.

E’ pur vero che il termine “cultura” da solo risulta un po’ generico e va accompagnato da qualche aggettivo, per cui si può parlare di cultura generale, cultura specialistica, cultura artistica, ampia cultura, ecc. E, ovviamente, cultura locale, intesa come conoscenza del territorio e della sua storia.

Per quanto riguarda il nostro paese uno dei testi che andrebbe letto obbligatoriamente è la tesi di laurea della nostra compaesana, da non molto scomparsa, Luigia Suardi dal titolo “Belgioioso nel passato e nel presente” (reperibile qui).

Nell’anno appena trascorso abbiamo avuto la pubblicazione di un pregevole volume di fotografie (ma non solo) opera di Claudia Terna dal titolo “Belgioioso nel tempo” che ha riscosso un notevole, e meritato, successo.

Ma c’è anche chi da tempo, cinque anni, si preoccupa della storia del nostro paese e ce la fornisce a piccole dosi, ma in modo costante, forse per darci il tempo di assimilarle. Mi riferisco a Luigi Migliavacca con il suo giornalino “Belgioioso, Terra del Basso Pavese“. L’ultimo numero, dedicato al Giorno della memoria, è una vera e propria perla che ci ha permesso di conoscere storie di nostri compaesani durante il secondo conflitto mondiale ai più sconosciute (io stesso, che non sono più molto giovane, ero all’oscuro di queste vicende).

Un grazie a Gino Migliavacca per il suo impegno, che dovrebbe essere riconosciuto pubblicamente. Ma in questo triste periodo storico della nostra nazione, anche la cultura, per essere premiata, deve avere un’etichetta politica e un’etichetta che coincida con quella del potente di turno. Sappiamo tutti come si è schierato il Gino nelle ultime elezioni: perciò, per lui, niente riconoscimenti pubblici da parte di questa amministrazione (ma forse è meglio così). E’ triste constatare che l’onestà intellettuale è proprio una dote di cui gli uomini politici odierni sono sprovvisti.