Come promesso, sono pronto a farvi conoscere come i Visconti, in particolare Galeazzo II (1320 – 1978), marito di Bianca Maria di Savoia e padre del ben più famoso Gian Galeazzo, governarono nella seconda metà del 1300 le terre pavesi. La fonte delle mie informazione è niente meno che un protagonista della storia italiana, che risponde al nome di Pietro Verri (1728 – 1797), filosofo, economista e storico, nonché amico di Cesare Beccaria.
E’ dalla sua monumentale “Storia di Milano”, che ho tratto il passo che vi propongo. Il Verri descrive come Galeazzo II Visconti, dopo la divisione del Ducato nel 1354 fra lui ed il fratello Barnabò, amministrava i suoi possedimenti nel Pavese, e cioè, come avrete modo di leggere, con efferata crudeltà e ferocia inaudite. Metodi che, ovviamente, stanno all’opposto del pensiero del Verri autore, fra l’altro, di un’altra opera fondamentale del pensiero moderno, e cioè quelle “Osservazioni sulla tortura”, che, insieme a “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria (1764), è uno dei testi fondamentali della cultura illuministica.
Il modo di scrivere del Verri è senz’altro fluido, ma un po’ diverso dal taglio giornalistico cui siamo oggi abituati. Vi garantisco comunque che è una lettura scorrevole e sono convinto che arriverete in fondo allo scritto quasi senza accorgervene e, spero, con la voglia di saperne di più. Nel pezzo si parla, fra l’altro, anche del castello di Zojoso (poi Belgioioso) in cui il torturatore Galeazzo II era solito passare parte del suo tempo e questa è una delle prime citazioni certe di tale denominazione (siamo nel 1377).
Ma leggiamo insieme cosa scrive Pietro Verri nel XIII Capitolo – Tomo I della sua “Storia di Milano – in cui si narrano le vicende della città incominciando dai più remoti principj sino alla fine del dominio dei Visconti”.
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“……………… (omissis) ……………….. Ritorniamo agli orrori di quel governo, e miriamo l’altra porzione dello Stato soggetta a Galeazzo II (Visconti). Dopo che egli ebbe nuovamente in suo potere Pavia, ivi collocò la sua sede, lasciando che Barnabò alloggiasse in Milano. ………….(omissis) ………………., ei si volse a fabbricare senza riguardo. In Pavia si pose ad erigere un parco di più miglia, cinto di muro; ivi aveva le cacce, i giardini, le peschiere, che ricevevano l’acqua per un cavo ch’ei fece dal Naviglio di Milano sino colà. Queste spese, e quest’abbandono degli affari pubblici, in tempi di pestilenza e di carestia, mentre una parte dello Stato soffriva le invasioni de’ nemici, produssero danni così grandi, che, malgrado l’opulenza e l’adulazione che a più giri attorniavano quel principe, ei si dovette alla fine riscuotere. Aprì gli occhi; e vide tutte le cariche venali occupate da vilissimi ministri; i popoli rovinati; le sue milizie mancanti di paghe; il suo erario vuoto; e i suoi pochi sudditi, esausti e languenti.
In quel momento fece quello che sogliono le anime da poco; dalla inerzia passò alla frenesia. Fece impiccare il suo direttore delle fabbriche in Milano. Fece impiccare il suo direttore delle fabbriche in Pavia. Il castellano di Voghera per essere stato assente, quando quegli afflitti abitanti scossero il giogo della oppressione, fu strascinato a coda d’asino, poi fu impiccato con un suo figlio. Sessanta stipendiati, perché furono un poco lenti nell’eseguire una commissione, furono con una sola parola condannati tutti alle forche. Indotto a far loro grazia, se ne rammaricò poi, e fece porre in carcere Ambrosolo Crivello, suo cancelliere, e lo privò d’un anno di salario, perché era stato sollecito nella spedizione della grazia.
Questi fatti ci sono attestati da più autori contemporanei. L’Azario (vedi “Per chi voglia saperne di più”, in fondo al post) poi ci ha tramandato l’editto col quale quel principe ordinò a’ suoi giudici qual carnificina dovessero far eseguire contro i rei di Stato. Egli immaginò il modo per far soffrire atrocissimo strazio per quarantun giorni, riducendo un uomo sempre all’agonia senza lasciarlo morire. La natura freme; Busiri e Falaride (*) non lasciarono altretanto:
L’intenzione del signore è che dei capi traditori si incominci il castigo a poco a poco. Il primo dì, cinque tratti di curlo (probabilmente di corda); il secondo si riposi; il terzo dì, similmente cinque colpi di curlo; l’ottavo si riposi; il nono si dia loro a bere cinque colpi di curlo; il sesto si riposi; il settimo, similmente cinque colpi di curlo; l’ottavo si riposi; il nono si dia loro a bere acqua, aceto e calcina; il decimo si riposi; l’undecimo dì, similmente acqua, aceto e calcina; il duodecimo si riposi; il decimoterzo giorno si taglino due corregge di pelle sulle spalle, e si lasci sgocciolare sopra (forse acqua od olio bollente); il decimoquarto si riposi; il decimoquinto giorno si levi loro la pelle della pianta di ciascun piede, poi si facciano camminare sopra i ceci; il decimosesto si riposi; il decimosettimo camminino sopra i ceci; il decimottavo si riposi; il decimonono si pongano sopra il cavalletto; il vigesimo si riposi; il vigesimoprimo si pongano sul cavalletto; il vigesimosecondo si riposi; il vigesimoterzo giorno si tragga loro un occhio dal capo; il vigesimoquarto si riposi; il vigesimoquinto si tronchi loro il naso; il giorno vigesimosesto si riposi; il vigesimosettimo si recida loro una mano; il ventesimottavo si riposi; il ventesimonono si tagli loro l’altra mano; il trentesimo giorno si riposi; il trentesimoprimo si taglia loro un piede; il trentesimosecondo si riposi; il trentesimoterzo si tagli loro l’altro piede; il trentesimoquarto si riposi; il trentesimoquinto si recida loro un testicolo; il trentesimosesto giorno si riposi; il trentesimosettimo si recida loro l’altro testicolo; il trentottesimo si riposi; il dì trentesimonono si tagli loro il membro virile; il quarantesimo si riposi; il quarantesimoprimo siano attanagliati su di un carro, e poscia si pongano sulla ruota. (**)
Pare impossibile che un sovrano abbia mai dato un comando tanto infernale; pare impossibile, che alcun uomo, soffrendo questi martirii, potesse sopravivere sino al quarantesimoprimo giorno. Eppure convien dire che crudelmente si andassero applicando i rimedii, per prolungare la vita e il tormento; poiché, ci attesta lo stesso autore, che l’esecuzione di quelle pene fu compiuta riguardo a molte persone negli anni 1372 e 1373. …………….(omissis) …………….. Galeazzo II aveva la bassezza di voler giuocare ai dadi co’ sudditi che avessero denaro, e godeva di rovinarli.
Quel principe fece un decreto l’anno 1377 che non ha esempio, a quanto mi è noto. Egli, con un foglio di carta, annullò, cassò, rivocò tutte le grazie e dispense che aveva sin allora concesse. Il decreto è del giorno 13 di ottobre, “Datum in castro nostro Zojoso”, sito nel Pavese, ora chiamato Belgioioso, nel quale soleva passar qualche tempo quel principe. Che un successore revochi le grazie di un sovrano che l’ha preceduto, benché sia cosa dura assai per chi la soffre, se ne trovano esempi, ma che un principe cancelli, così in un colpo solo, tutte le sue beneficenze, non so che sia mai accaduto altra volta. Galeazzo II morì in Pavia il giorno 4 di agosto dell’anno 1378, dopo di aver regnato ventiquattro anni; e successe ne’ suoi Stati Giovanni Galeazzo, di lui figlio, che portava nome il conte di Virtù, per un feudo che gli era stato dato nella Francia, per dote della principessa Isabella. ………………..(omissis)……………………”
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Ecco come – secondo Pietro Verri – i Visconti amministravano i loro possedimenti nel Pavese. Quindi d’ora in poi, ogni volta che si parla dei Visconti, ricordiamoci anche di quello che fece Galeazzo II.
(*) Busiri e Falaride furono due tiranni, uno di Spagna e l’altro di Agrigento.
(**) Questo metodo di tortura è passato alla storia con il nome di “Quaresima di Galeazzo” o “Quaresimale di Galeazzo”.
Per chi voglia saperne di più:
– Storia di Milano – Pietro Verri – Sansoni. 1963
– Chronicon – Piero Azario – Libri di stampa. 2008