Fioriture
9 Ottobre 2014 da bsìaSbaglio o l’autunno è appena incominciato? Saranno meno di venti giorni, vero? Ebbene, pare che ci sia qualcuno che voglia far fiorire i “Giardini di Belgioioso” (e perché non i “Giardini di marzo“?) 😆 È vero, ci sono anche piante che fioriscono in autunno: i crisantemi! Che però, nella nostra cultura, sono i fiori dei morti. Forse che qualcuno vuole morire anzitempo? Mah! Certo che, prima di pensare alla morte, è meglio farsi quattro grasse risate leggendo la lettera del già sindaco del paesello, e novello assessore al dissanguamento, pubblicata oggi sulla stampa locale1 come piccata replica a una precedente missiva del nostro solito “provocatore” Fraschini che denunciava quello che è sotto gli occhi di tutti, vale a dire l’iper strumentalizzazione, a fini elettorali, del fantasmagorico giardino di villa Trespi che da quel dì (vigilia elettorale, con successiva bacchettata sulle orecchie rifilata al succitato (il sire) dall’Agcom)2 è invaso da una “lussureggiante” vegetazione! E, cosa più importante, che è costato parecchio al gonzo brüsacrist.
Ebbene, per divertirci un po’ coglierò fior da fiore, tanto per restare in tema, dalla suddetta missiva. “Fraschini è contrario alla creazione di un polmone verde nel centro (…)”. Deh, bellezza, un polmone verde con davanti una strada su cui passano 4000 mezzi al giorno? E fare la tangenziale non è forse meglio e a salvaguardia della salute dei cittadini? Lui fa un polmone verde che si ridurrà come quello di un accanito fumatore: brau! E poi: “(…) vede con acredine (Fraschini [N.d.R.]) il progetto Belgioioso città giardino (…)”. Sta copiando da Pavia? Perché Città giardino è un quartiere di Pavia ed è stato fatto ben prima che sua_santità vedesse la luce. Mi sembra arrivato un po’ in ritardo! 😈 E ancora: “Spreco di denaro pubblico? Ma investire nel verde storico3 è uno spreco?”. Toh, senti chi parla di verde storico! Ma non è stato lui ad abbattere due tigli novantenni in via Garibaldi? E non è stato forse lui a sterminare un viale intero della stessa età, quello di via Roma e del piazzale della stazione ferroviaria, per piantarci quel cazzo di peri da fiore? E questa: “Quello che abbiamo realizzato in questi anni dimostra che a volte i sogni diventano realtà (…)”. Vacca miseria, deh, qui la digestione doveva essere assai pesante, sempre bagna cauda? E imperterrito prosegue: “e che queste azioni sono condivise dalla maggioranza dei cittadini di Belgioioso (…)”. Maggioranza un cazzo. Hanno vinto per miracolo e i due terzi dei belgioiosini di questa amministrazione non ne vogliono sapere!
Ad ogni modo qui fiorisce di tutto: un paese in fiore. Un contagio dovuto ai peri da fiore o da qualche altra pianta? 😉
- La Provincia PAVESE [↩]
- Vedi il post Come osano!? [↩]
- Grassetto e sottolineatura sono miei [↩]
Una Sentinella ci seppellirà (perché la risata non tira più)
9 Ottobre 2014 da Emilio Contidi Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it
Come tutte le cose intelligenti ripetute all’ossessione, spesso a vanvera, fuori contesto e soltanto per fare bella figura in società, la frase “Una risata vi seppellirà” ha perso ogni valore. Era uno slogan usato dai sindacalisti anarchici del primo 900, e poi è andata via via snaturandosi. Non che sia del tutto infondato il caso di una risata che seppellisce, e chi ricorda la solenne ghignata che Merkel e Sarkozy si fecero al cospetto di Silvio Berlusconi sa che ogni tanto il miracolo è possibile: in effetti lo seppellirono. Ma è cosa rara, purtroppo. Il problema di seppellire qualcuno con l’ironia è che generalmente chi si cerca di seppellire sotto una risata è troppo stupido per capire l’ironia. Ne è, per così dire, immune, troppo preso da se stesso e troppo convinto della tenuta stagna delle proprie idee. Questo ci porta alle Sentinelle in piedi, gente convinta che esista una lobby gay che vuole distruggere la famiglia, quindi che mina le basi della riproduzione biologica, quindi che impedirà la continuità della specie e dunque, in ultima analisi provocherà la fine del mondo, che verrà conquistato da specie non gay, tipo, per dire, lombrichi e gasteropodi. E’ un’idea come un’altra, per carità e anche abbastanza suggestiva con cui lombrichi e gasteropodi sono senza dubbio d’accordo.
Quanto all’ironia, ce l’ha messa il giovane Gianpietro Belotti, che a Bergamo si è mischiato alle Sentinelle in piedi, vestito da nazista (non proprio: era vestito come il Grande Dittatore di Chaplin), il Mein Kampf in mano (libro per certi versi più moderato di quelli ostentati dalle sentinelle vere) e un cartello con scritto “I nazisti dell’Illinois stanno con le Sentinelle”. Due citazioni al prezzo di una, insomma: il grande Chaplin e il grande Belushi. Fermato e accompagnato in questura dalla Digos ora rischia una denuncia che, se arrivasse, dimostrerebbe in pieno la tesi di Roberto Freak Antoni: “Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”.
Bizzarro che uno dei pochissimi casi di fermo di un tizio vestito da nazista riguardi uno che prende per il culo i nazisti, e anche questo è un segnale che le risate non seppelliscono più nessuno, purtroppo. Avendo visto a Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, sfilare nazisti veri, con tanto di passo dell’oca e svastiche, e la polizia che invece di arrestarli li proteggeva, direi che in effetti c’è poco da ridere. Per fortuna, a prendersi soavemente in giro le Sentinelle ci hanno pensato da sole. Chi preconizzando la fine del mondo per mano della lobby gay, chi parlando di “antropologia cattolica” (giuro), chi dicendo di lottare “per la libertà dei gay”. Ho scelto alcune delle chicche migliori e vi risparmio la solita litania del “Ho tanti amici omosessuali”, che è come sempre un classico della discriminazione. Il leit motiv, il mood, è comunque questo: “Va bene i diritti degli omosessuali, ma i gay non devono negare i diritti degli altri”. E qui, in effetti, pur non seppellendo nessuno, la risata è dietro l’angolo. Il solo pensiero che due dello stesso sesso, amandosi tra loro, impediscano alcunché agli eterosessuali è semplicemente esilarante. Il giorno che avremo coppie eterosessuali confinate nelle catacombe o perseguitate dalla polizia gay e lesbica (probabilmente, nel loro immaginario, vestita come i Village People), siete pregati di avvertire. Per ora e in attesa di quel momento, si suppone assai lontano, le sentinelle inducono a un certo buonumore e vanno ringraziate come tutti quelli che fanno ridere almeno un po’
Riposa in pace, articolo 18: togliere a pochi per uccidere tutti
2 Ottobre 2014 da Emilio Contidi Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it
Con la cerimonia funebre dell’articolo 18 si apre un nuovo capitolo di pace, prosperità e progresso per il mondo del lavoro in Italia. Cerimonia all’irlandese: la bara è aperta, il caro estinto pare che dorma e tutti intorno si dedicano ai drink e alle molte speranze che il trapasso di quel vecchio, polveroso, barbogio diritto apre per tutti. Il prete ha parlato chiaro: con la dipartita del vecchio articolo 18 ora tutti avranno di più. Parole nette e chiare: “L’imprenditore deve poter licenziare, se rimani senza lavoro ci pensa lo Stato”. Bene. Odiosi privilegiati come operai attaccati al posto di lavoro, cassintegrati in deroga e cinquantenni in mobilità, non potranno più dettare legge: è il momento di tutti gli altri, ci pensa lo Stato.
Sull’onda di questa solenne promessa, cardine dell’omelia, la cerimonia funebre assume toni garruli e divertiti. Ecco la ragazza che vuol fare un bambino col suo innamorato, lei precaria con contratto di tre mesi, lui in cerca di lavoro. Ora che è morto quell’egoista dell’articolo 18, i loro problemi sono finiti: ora ci penserà lo Stato. Lo stesso Stato che penserà anche al licenziato fresco fresco, perché come ha insegnato la legge Fornero (l’ultimo by-pass messo al vecchio articolo 18, appena due anni fa) ora che licenziare è più facile qualche contraccolpo ci sarà, ovvio, è la vita. Tranquilli, arriva lo Stato e stacca un assegno mensile. Poi ti trova un lavoro. Naturalmente lo Stato penserà anche alle famose partite Iva. Chi ha dovuto aprirla per fingersi libero professionista invece che dipendente licenziabile in cinque minuti ha finito di soffrire. Ora che il vecchio articolo 18 finisce dove merita, avrà anche lui giustizia e prosperità: un sussidio appena l’imprenditore finisce di pronunciare la frase “siamo costretti a fare a meno del suo apporto”.
A credere alla propaganda renziana, insomma, ora che non ci sono più lavoratori di serie A, tutti i lavoratori di serie B festeggiano a champagne: sono finiti i tempi cupi, ora che ad avere i diritti non sono più pochi (non pochissimi, a dire il vero, ma questo la propaganda non lo dice), finalmente li avranno tutti. E’ un abbaglio così clamoroso e grossolano, naturalmente, che non ci credono nemmeno loro. Per pensare a tutta quella gente – disoccupati, cassintegrati, precari tra un contrattino e l’altro, aspiranti mamme, sottoccupati, flessibili a vario titolo, partite Iva mascherate – lo Stato dovrebbe trovare il petrolio, o giacimenti d’oro, o vincere all’Enalotto tutti i giorni per qualche anno. Invece quel che c’è – lo dicono unanimi sia quelli che piangono i vecchi diritti, sia quelli che li hanno ammazzati – è un miliardo e mezzo, meno di quel che si spende oggi per la cassa integrazione. Insomma, basta aspettare un po’: che la veglia funebre finisca, che il caro estinto sia sotto terra, che le corone di fiori appassiscano tristemente. Poi qualcuno, reduce da quel bicchiere di troppo che il lutto ha suggerito, ricorderà le parole del prevosto e si farà avanti a dire: beh, ora che abbiamo levato un diritto a quelli là per darlo a tutti, lo diamo o no? E scoprirà che non ci sono i soldi, che non si può, che mancano i decreti attuativi, che la coperta è corta, che la frase dell’omelia aveva due parti. La prima: leviamo diritti. La seconda: li diamo a tutti. E che nel rimbombo delle navate della cattedrale, la seconda frase si è persa, dimenticata, evaporata. E’ rimasta un’eco, pare che dica: “Bravi! Ci siete cascati ancora!”. E poi: “E’ tutto. Andate in pace”.
Nei giorni paro o quando piove: la Tasi non è una scienza esatta
18 Settembre 2014 da Emilio Contidi Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it
Sembra passato un secolo (magari ci siamo distratti ed è veramente passato un secolo) da quando Silvio buonanima faceva il diavolo a quattro sull’Imu. Per togliere l’Imu, che di colpo sembrava una cosa peggio di ebola, si decise di aumentare l’Iva. Così si tolse l’Imu, bene, ma si bloccarono i trasferimenti ai comuni, male. Così si disse ai comuni che dovevano pensarci loro, male, fissando però un tetto massimo, bene. E in caso di tetto massimo (3,3 per mille, male), almeno lo 0,8 per mille dev’essere destinato alle detrazioni per le fasce meno abbienti, bene. E questa sarebbe la Tasi. Tutto chiaro? Beati voi.
Per complicare un po’ le cose, ecco dunque le scadenze: qualcuno ha scelto il 16 settembre, altri il 16 ottobre, in certi casi si pagherà in novembre e in alcuni comuni prima di Natale. Nei comuni della provincia di Rieti si pagherà solo nei giorni di pioggia, in Trentino non prima delle prime nevicate, a Macerata i cittadini verranno chiamati agli sportelli in ordine alfabetico. Interessante il caso del comune vicino a Nuoro in cui si pagherà per sorteggio: il fortunato vincitore pagherà la Tasi per tutti e poi girerà casa per casa a farsi ridare i soldi. In provincia di Sondrio sarà esentato chi trova più funghi in un pomeriggio, ad Agrigento chi sa sbucciare i fichi d’india a mani nude. Tutto chiaro? Benissimo.
Poi ci sono le detrazioni, e qui la cosa si fa divertente, perché ogni comune si inventa le sue (per dire: Modena ha undici diverse misure di detrazione, Asti nove) e questo scatena una entusiasmante creatività. Pagherà meno in generale chi ha due figli, uno dei quali si chiama Ferdinando e va male a scuola. Chi ha solo figlie femmine pagherà il due per mille in meno, al contrario di chi ha un cane di taglia media. Ci sono comuni che prevedono esenzioni sulla Tasi se l’immobile è occupato da famigliari, altri che prevedono riduzioni se quando nonna fa il ragù riesce a diffondere un delizioso profumo per le scale condominiali, altre ancora per chi non ha il citofono e chiama i congiunti dalla strada, alle sei del mattino svegliando tutti. I cognati biondi del padrone dell’immobile potranno detrarre il due per mille solo se ciechi da un occhio. Poi ci sono gli immobili di lusso, quelli normali, quelli scrausi, quelli crollati perché c’era la frana e quelli abusivi, che non esistono e quindi la Tasi non la pagano per niente. Poi ci sono le rateazioni, ovvio. Sempre a seconda del comune dove abita, uno può pagare tutto subito, oppure metà subito e metà a Natale, oppure un terzo subito, un terzo giovedì e un terzo domenica mattina, ma solo se non va a messa, nel qual caso la scadenza sarà lunedì. Poi ci sono comuni che ti mandano a casa il bollettino già compilato, che è una comodità, altri che ti spediscono un modulo F24, così fai tutto col computer e altri che scrivono l’importo sul tovagliolo di carta del bar, col dito, usando come inchiostro il ripieno della pasta. Insomma, la Tasi si prospetta come una grande festa italiana, un’occasione per dispiegare la fantasia per cui siamo famosi nel mondo. In tutto questo, forse un giorno si saprà quanto abbiamo pagato. C’è chi dice (l’Anci) che più o meno si pagherà quanto si pagava di Imu, ma divertendosi un mondo, e chi (Confedilizia) dice che si pagherà di più. Vai a sapere, mica è una scienza esatta, no? In ogni caso, bisogna apprezzare il fatto che non c’è più l’Imu, ovvio. Ma sì, dai, l’Imu, ricordate? Quella tassa sulla casa che abbiamo scambiato per un punto in più di Iva…
Il più bel gioco dell’estate: essere Angelino Alfano
15 Agosto 2014 da Emilio Contidi Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it
Ora, facciamo un gioco assurdo, di quelli che fanno i ragazzini, tipo “Io ero Maradona”, “Io ero Napoleone “, cose così. Ecco, mettiamo che uno dica – fa già ridere – “Io ero Angelino Alfano”. Va bene, direte, è un gioco che finisce subito per mancanza del protagonista. Però, a pensarci, a indossare tutta la pietà umana di cui si è capaci, a sforzare fino al parossismo il senso di immedesimazione, si può fare: anche solo per qualche minuto mettersi nei panni di Angelino Alfano potrebbe essere istruttivo.
Esempio: siete al governo insieme a uno che governa da solo, e anche in un ministero di peso come quello dell’Interno. E nonostante questo, per dirla con un francesismo, non vi caga nessuno. Tutti i titoli dei giornali sono per il capo del governo, Renzi, e il capo dell’opposizione (?), Berlusconi, con l’altro capo dell’opposizione, Grillo, attualmente dato per disperso. Tutto quei due, insomma. Le riforme: quei due. I patto del Nazareno? Quei due. La legge elettorale? Idem. Si sa come funziona: i giornali hanno i centimetri quadrati contati e i telegiornali invece vanno a minutaggio. Così, se siete Angelino Alfano – tranquilli, è una fiction – qualcosa vi dovete inventare. Dai, giochiamo.
Prima mossa: l’articolo 18. Mentre infuria la battaglia sul Senato (ci sarà ma non sarà eletto, un po’ come le provincie, che ci sono, ma non saranno elette) e il Pil ci fa marameo rifiutandosi di crescere (bastardo!), Angelino butta lì una ferrea condizione: abolire l’articolo 18, una cosa nuovissima, di cui si parla dai tempi degli Aztechi. Siccome ha capito che una stupidaggine è più efficace se le si mette accanto una data (d’accordo, è Alfano, ma Renzi ha insegnato qualcosa anche a lui), trasforma la sua pretesa in ultimatum: entro la fine di agosto, cioè domani. Ecco, bravi, bella mossa. Ora venite subissati di sberleffi, sia da chi l’articolo 18 l’abolirà sul serio, ma con calma e fingendo che no, sia da chi lo difende, sia da chi dice che ormai è abolito di fatto. Insomma, risultato zero, ma intanto i giornali si sono occupati un po’ di voi, qualcuno ha persino pubblicato una foto e il grande pubblico ha reagito compostamente: “Ah, Alfano. Ma va’? Ma c’è ancora?”.
Seconda mossa. Cosa può portare un po’ di consenso, almeno dall’uomo stanco e spiaggiato che si gode la sua settimana di ferie? Beh, l’attacco agli ambulanti, questo spaventoso problema del paese, questa priorità assoluta. Basta? No. Ci vuole la mossa del grande comunicatore. E allora li chiamate “vu cumprà”, unendo in due parole antiche due importanti componenti del consenso popolare: l’ignoranza e la volgarità. Ecco che tornate sui giornali. Bravi! Visto? State imparando a giocare.
E ora – coraggio! – innovate un po’. Osate di più. Alcuni esempi. Alfano si scaglia con veemenza contro i terremoti, chiedendo una moratoria internazionale di tre anni. Titoloni. Alfano annuncia tolleranza zero sulle zanzare, i coloranti nelle bibite, i gavettoni in spiaggia e la grandine che rovina le vigne. Altri titoloni. Coraggio, non frenate l’Angelino che è in voi! La pasta con le vongole, bianca o rossa? Angelino Alfano tenta la mediazione, rimettendo il suo partito al centro della scena politica. E le patatine fritte, eh? Ne vogliamo parlare? Ketchup o maionese? Angelino Alfano chiede una regolamentazione definitiva entro il 3 settembre. Ok, vuoi continuate a giocare, io mi fermo qui. Essere Angelino Alfano è una faccenda abbastanza spossante e persino – duole dirlo – piuttosto inconcludente.
Bsiàte – settantaseiesima puntata
5 Agosto 2014 da bsìaNotizia: “Belgioioso, in zona Castello accesso a internet gratuito”1
Commento: toh … ci sono arrivati! 😮 Che rapidità, visto che il wi-fi esiste dal 1999 (diconsi 15 anni 😯 ) finalmente qualcuno ci ha pensato. Bisognava cambiare il manico? Forse. Essere giovani serve, ma giovani si è, in fatto di tecnologia e non solo, soprattutto nel cervello e quello di qualcuno è stantio come il lardo rancido! 😉
- La Provincia PAVESE – 5.08.2014 – pag. 18 [↩]
Palazzo Chigi, un bulletto e la sindrome del possesso
15 Giugno 2014 da Emilio Contidi Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it
Chissà cos’hanno pensato i dirigenti del più grande Partito Comunista del mondo quando hanno visto Matteo Renzi occuparsi di Corradino Mineo. Abituati a leader occidentali che vanno lì a parlare dei dissidenti loro, vederne uno che da Pechino si occupa dei dissidenti suoi li avrà divertiti un bel po’. Poi, appena tornato in patria, il premier ha fatto tutta la classifica delle sue proprietà. Mio il 41 per cento, miei i voti delle europee, mio il partito, e mio anche il paese, che “non si può lasciare in mano a Corradino Mineo” (che è un po’ come sparare alle zanzare con un lanciamissili, diciamo). Tipica sindrome del possesso: è tutto suo, ce ne sarebbe abbastanza per uno studio sul bullismo. Studio già fatto, peraltro, perché pare che il paese proceda di bulletto in bulletto. Prima quello là, il Bettino degli “intellettuali dei miei stivali”, che Renzi ha voluto rivisitare con i “professoroni”, con contorno di gufi e rosiconi (al cicca-cicca manca pochissimo, prepariamoci). Poi quell’altro, Silvio nostro, parlandone da vivo, che rombava smarmittato dicendo che “dieci milioni di voti” lo mettevano al riparo dalla giustizia. Non diversissimo dal nuovo venuto, secondo cui “dodici milioni di voti” (suoi, ça va sans dire) sono un’investitura per fare quello che vuole senza se e senza ma. Insomma, che le elezioni europee fossero un voto per la riforma del Senato era meglio dirlo prima, non dopo.
Ora, si trema all’idea di cosa, ex-post, tutti quei voti possano giustificare, dallo scudetto alla Fiorentina alla riforma della giustizia, dalla rimozione dei senatori scomodi alla renzizzazione selvaggia del partito. Come sempre quando si va di fretta, non mancano i testacoda. Il “lo cambieremo al Senato” (il voto della Camera sulla responsabilità dei giudici), detto da uno che il Senato lo vuole abolire. Oppure il famoso lodo “Daspo e calci nel sedere” ai politici corrotti, che si è tramutato in silenzio di tomba quando il sindaco di Venezia è tornato, dopo un patteggiamento, al suo posto. Se n’è andato lui, Orsoni, e sbattendo la porta, senza nessun Daspo e nessun calcio nel sedere (pare che intenda tirarne lui qualcuno al Pd, piuttosto). Ora, forgiata una falange di fedelissimi (persino i giornali amici e compiacenti ormai li chiamano “i colonnelli”) è bene dire che nessuno si sente al sicuro. Ne sa qualcosa Luca Lotti che per zelo ebbe a dire che Orsoni non era del Pd: Renzi lo sbugiardò a stretto giro, come dire, va bene essere più realisti del re, ragazzi, ma ricordiamoci chi è il re.
Tanto, che uno sia del Pd oppure no è irrilevante: quel che conta è si è di Renzi oppure no. Perché Giggi er bullo vince sempre. Se il Pd va bene è il suo Pd. Se va male è quello vecchio e mogio di Bersani. Un po’ come il Berlusconi padrone del Milan, che si intestava le vittorie e scaricava le sconfitte sugli allenatori. Lo stile è quello.
L’avesse fatto Bersani, di levare da una commissione un senatore sgradito (magari renziano, toh) avremmo sentito gemiti e lezioncine di democrazia fino al cielo, perché anche nel “chiagni e fotti” le similitudini non mancano. E qui c’è un po’ di nemesi, a volerla dire tutta. Perché se fino a qualche tempo fa si poteva sghignazzare sulla gesta di Renzi, “Ah, l’avesse fatto Silvio”, ora siamo arrivati al punto di dire: “Ah, l’avesse fatto Pierluigi!”. Che è poi la storia di come procede a passi rapidi l’uomo solo al comando: si teorizzava qualche mese fa da parte renziana che come alleato Berlusconi fosse meglio di Grillo. Oggi si teorizza (anche coi fatti) che come socio per le riforme Berlusconi è meglio di alcuni senatori Pd, eletti per il Pd da elettori del Pd.
Quanto ai soldatini, ai pasdaran e ai guardiani della rivoluzione renziana, che sgomitano per farsi notare dal capo, devono per ora limitarsi all’arte sublime del benaltrismo. Ad ogni nota stonata del loro conducator sono costretti ad argomentare: e allora Grillo? Come se davanti a una bronchite un medico intervenisse dicendo: e la polmonite, allora? Nel merito, niente. Poveretti, come s’offrono.
Bsiàte – settantaquattresima puntata
8 Giugno 2014 da bsìaLe frecce con lo sponsor e il torpediniere che veste Prada
4 Giugno 2014 da Emilio Contidi Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it
Il miracolo è recente: di colpo, con la sola imposizione delle mani, tutti quelli che per anni hanno fatto gli alfieri dell’austerity hanno cambiato verso e ora combattono fieramente l’austerity, come un sol uomo e con quella faccia un po’ così che dice: “chi, io?”. Una cosa che ha riguardato anche la solenne parata del 2 giugno il cui preventivo – come scrive Il Sole 24 ore – supera di 400 milioni i costi dell’anno precedente (un aumento di oltre il 20 per cento, altro che Spending Review). E in più, colpo di scena, riecco le gloriose frecce tricolori. Ora, a parte l’irritazione del popolo grillino per le scie chimiche (in questo caso addirittura colorate), non molti hanno notato il salto di qualità: niente pattuglia acrobatica nel 2012 e nel 2013 e gran ritorno quest’anno. Perché, come dice il ministro della difesa Pinotti “Abbiamo ricavato utili da marchio”. Un brand, insomma. E in più, le esibizioni dei nove jet che sputano tricolore dal sedere sono pagate dagli sponsor, Fastweb in prima fila.
Ecco, gioite. E poi dice le privatizzazioni. Certo, la fanteria ormai non conta più molto, l’assalto con la baionetta non è più di moda, ma se fosse, i bersaglieri potrebbero sempre fermarsi sul più bello, sorridere alla telecamera e mostrare la barretta energetica, la bibita che integra i sali minerali, se non addirittura il miracoloso farmaco che arresta i radicali liberi. E’ un’idea, perché no. Quanto al genio guastatori, quello che invece di fare le opere le distrugge per far dispetto al nemico, si potrebbe farlo sponsorizzare dall’Expo: come non fanno le opere loro, nessuno. Insomma, la nuova frontiera del nazionalismo militare ne avrebbe gran giovamento. Le crocerossine, per esempio, potrebbero indossare uniformi fornite dalla sanità privata, c’è solo l’imbarazzo della scelta, dal San Raffaele alla Maugeri, magari chiedere a Formigoni per i numeri di telefono (però, in questo caso, consiglio di tenere le ricevute). Ora, naturalmente si può cogliere fior da fiore e fare gli spiritosi. Ma poche cose sono più spiritose di un’esibizione tecnologico-muscolare-nazional-militarista che per realizzare la sua geometrica potenza si affida allo sponsor privato. Vero che a ben guardare non è la prima volta, e che le guerre sponsorizzate dalle multinazionali del petrolio (specie americane) sono state parecchie, negli ultimi decenni. Ma resta il fatto che il cortocircuito è notevole: si celebra la nascita e l’indipendenza della Repubblica, e questo è bello. Ma proprio indipendenti del tutto non si riesce ad essere, e allora ecco lo sponsor. Ingegnoso, fantasioso e, se si continuasse, anche remunerativo. Basta pensare alla Marina Militare, forse Prada, invece di Luna Rossa potrebbe pagare un paio di cacciatorpedinieri, due fregate, un sottomarino. Ma qui siamo giù alle sponsorizzazioni incrociate e il discorso si fa complesso. Già, perché siccome ci ostiniamo a comprare gli F35, abbiamo dovuto costruire una portaerei per ospitarli e quando qualcuno si è accorto che gli F35 non erano un affarone, si è giustificato l’acquisto dicendo che ormai avevamo speso molto per la portaerei. Roba da manicomio, o almeno da cure psichiatriche. Se paga lo sponsor, ovvio.