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Sei povero? Calma, la riforma del Senato è quasi pronta

18 Luglio 2014 da Emilio Conti

di Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it

Chissà come sono contenti della riforma del Senato i sei milioni e ventimila poveri assoluti d’Italia, aumentati nell’ultimo anno di un milione e 206 mila unità. E chissà come sono entusiasti del nuovo corso i dieci milioni di poveri “relativi”, e come gongolano vedendo che le priorità di chi li governa riguardano il castigo per i senatori dissidenti, le mediazioni di Calderoli e il patto del Nazareno. Faranno la òla, altroché, di fronte al nuovo che avanza. Per ora il “nuovo” è che loro aumentano a ritmo spaventoso, e un altro “nuovo” è che la povertà – anche quella assoluta – riguarda anche gente che lavora. Come dire che il disagio e l’indigenza non sono più (da un bel pezzo) faccende di marginalità, ma componenti strutturali del paese (il dieci per cento di poveri assoluti, quasi il quindici per cento di poveri relativi), componenti strutturali a cui si presentano priorità come “governabilità”, “stabilità”, e non, come si sarebbe detto un tempo, pane e lavoro.
I dati Istat diffusi ieri, come spesso fanno i numeri, specie se spaventosi, fanno un po’ di giustizia di tanti discorsetti teorici. Uno su tutti: l’eterna, noiosissima, stucchevole diatriba su destra e sinistra. Categorie vecchie: ora va di moda il sopra e sotto, il di fianco, l’oltre, e altre belle paroline utili all’ammuina. Poi, in una pausa della creatività ideologica corrente, arrivano quei numeri a ricordare che la forbice della diseguaglianza continua ad aprirsi, che i poveri aumentano (di moltissimo) e che il paese è ormai due paesi: chi ce la fa e chi non ce la fa. Con in mezzo chi ce la fa a fatica e vive nel terrore del passaggio di categoria, verso la retrocessione, ovviamente. A questi ultimi sono andati gli ottanta euro di Renzi: un po’ di ossigeno ai “quasi poveri” che un tempo si sarebbero detti ceto medio.
I numeri dell’Istat sono il solo vero discorso politico sentito in Italia negli ultimi mesi. L’unico che meriti di essere approfondito, un filino più serio dei pranzetti con Verdini, degli incontri in streaming, della pioggia di emendamenti sulla riforma della Costituzione. Un discorso che dovrebbe parlare anche a quella sinistra dispersa e bastonata che si oppone (ah, si oppone?) alle larghe e larghissime intese. Un solo punto, un solo programma, basta una riga: ridurre le distanze, attenuare le differenze, diminuire le diseguaglianze.
Le cifre dell’Istat – e le persone che mestamente ci stanno dietro – indicano l’unica vera priorità del paese, altro che Italicum. E sarebbe interessante capire, sia detto per inciso, quanti di quei milioni di nuovi poveri, assoluti o relativi, sono scivolati indietro a causa dell’affievolirsi della parola “diritti”. Parola vecchia, bollata come conservatrice. E così non è più un diritto il lavoro, non è più un diritto la casa, e di scivolata in scivolata, la povertà diventa questione privata, colpa individuale e non, come dovrebbe essere, piaga pubblica e sociale. Il “governo più di sinistra degli ultimi trent’anni” (cfr. Matteo Renzi, febbraio 2014) non solo ha altre priorità, ma pare intenzionato a intaccare alcune forme di welfare (la cassa integrazione in deroga, per dirne una) facilitando, e non contrastando, lo scivolamento verso l’indigenza di altre centinaia di migliaia di italiani. Per questo i numeri dell’Istat sono il solo vero discorso politico sentito negli ultimi tempi: dicono di come oggi una sinistra che lotti contro le diseguaglianze non esista, e di quanto invece ce ne sarebbe bisogno. Come il pane. Appunto.

Correre dietro ai polacchi non ci rende meno italiani

2 Febbraio 2014 da Emilio Conti

di Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it

E’ vero che se corri dietro al tram risparmi un euro e mezzo, ma se corri dietro a un taxi riesci a risparmiare molto di più. Che questa scemenza sia applicabile all’economia, e quindi alla vita delle persone, non fa ridere per niente. Eppure è quello che ci sentiremmo di suggerire alla Electrolux, la multinazionale degli elettrodomestici che ha proposto ai suoi lavoratori un accordo che suona più o meno così: noi vi molliamo qui e andiamo a fare le nostre lavatrici in Polonia, a meno che voi non accettiate di prendere salari polacchi. In pratica si tratta di una riduzione di stipendio di quasi il cinquanta per cento: quello che prima facevi per 1.400 euro, domani potresti farlo per 700. Se no a casa. Prendere o lasciare che si direbbe, dall’economia, alla politica, alle riforme, pare la moda del momento. Vedete anche voi che la formuletta del tram e del taxi è una metafora perfetta: perché diavolo inseguire stipendi polacchi quando si potrebbero rincorrere addirittura quelli cinesi? E perché limitarsi agli stipendi cinesi quando si potrebbero pagare stipendi cambogiani? Il fatto è che c’è sempre qualcuno che è il polacco di qualcun altro (o il cinese, o il cambogiano…) e quindi non si finisce più: la corsa al ribasso è una specie di toboga insaponato dove si prende velocità e non si riesce a frenare.
Ma certo, certo, non c’è dubbio che la faccenda non sia così semplice. Non c’è dubbio che sul costo del lavoro alla Electolux (come ovunque in Italia) pesino anche altri fattori. Le tasse sul lavoro, i costi, il famoso cuneo fiscale eccetera eccetera. Bene. Ridurre, tagliare lì e non dalle tasche dei lavoratori, tutto giusto, tutto bello e assai riformista. Però. Però non c’è niente da fare: se costruire una lavatrice in Italia costa 24 euro all’ora e in Polonia costa 8, non bastano né i tagli al costo del lavoro, né i tagli al cuneo fiscale, né riti propiziatori, né mani benedette, né ometti della provvidenza. Restano i sacrifici umani, quelli sì: sui lavoratori. E in più, della proposta Electrolux non si calcola un piccolo dettaglio. Che i lavoratori prenderebbero stipendi polacchi, ma non abiterebbero in Polonia. Continuerebbero a pagare affitti o mutui italiani, a comprare cibo nel supermercati italiani e a far benzina in Italia, che Varsavia gli viene un po’ scomoda. Dunque, non per tirare in ballo il vecchio maestro Keynes (ma anche il signor Ford, che fece il botto vendendo le Ford agli operai della Ford), se ne deduce che oggi, con il suo stipendio, un lavoratore dell’Elecrolux potrebbe forse permettersi di comprare una lavatrice Electrolux, ma domani, con il suo stipendio polacco, non potrà più. Meno soldi in tasca a chi lavora, quindi meno consumi interni, quindi nuovi lavoratori in esubero, quindi nuove riduzioni di salario. E’ la famosa manina magica del mercato che sistema tutto, a favore del mercato, naturalmente. Ecco: per portarsi avanti col lavoro, meglio forse cominciare a studiare la piantina di Pechino o cercare un bilocale a Phnom Penh. Certo, urge un taglio delle tasse sul lavoro, non c’è dubbio, e dei costi dell’energia, non c’è dubbio, e una politica industriale, non c’è dubbio. Nel frattempo, sarebbe bello non diventare troppo polacchi, troppo cinesi o troppo cambogiani, continuando a fare la spesa qui. Potendo ancora sognare in italiano e non in polacco, sarebbe bello avere uno Stato che offra buone condizioni a chi viene a investire e a produrre, ovvio, giusto, ma anche che chieda garanzie e imponga qualche obbligo.

Ogni tanto

14 Dicembre 2013 da Emilio Conti

Ogni tanto, nel marasma chiamato Italia, salta fuori qualcosa di veramente bello!

La notizia è che il giorno 16 giugno del corrente anno e per circa due ore (da poco prima delle 14 fino alle 15) tutta l’energia elettrica erogata è stata coperta per intero da fonti rinnovabili: idroelettrico, fotovoltaico e eolico. Questo significa zero inquinamento. E’ vero, sono solo due ore e pure di una domenica di quasi estate, però reputo che sia un buon segno.

Non solo, ma per tutto il mese di giugno le fonti rinnovabili hanno generato il 50,2% dell’elettricità italiana che ha coperto il 44,3% della domanda.

Saremo sulla buona strada?

Il paese di Cuccagna

15 Novembre 2013 da Emilio Conti

STIPENDI MANAGER DI STATO1

Germania 231.000 $
Media OCSE 232.000 $
Francia 260.000 $
USA 275.000 $
Gran Bretagna 348.000 $
Nuova Zelanda 397.000 $
Italia 650.000 $

NO COMMENT!

  1. Dati OCSE 2011 []

Lampedusa, l’alibi dell’Europa e lo psicodramma collettivo

10 Ottobre 2013 da Emilio Conti

di Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it

La tragedia di Lampedusa ci regala un nuovo ritornello italiano, uno di quelli che ci ronzerà nelle orecchie per mesi, come le canzoncine cretine dell’estate che ascoltiamo anche senza ascoltarle. E il ritornello, con molte varianti, ci dice che quello dell’immigrazione è un problema dell’Europa, che ci deve pensare l’Europa, che l’Europa ci lascia da soli, che noi saremmo i buoni samaritani accoglienti sulla frontiera mentre quelli dentro, nell’interno del continente, quelli della famosa Europa, se ne fregano. E’ un ritornello che cantano tutti, dal ministro Alfano, che in Parlamento dice che tragedie simili succederanno di nuovo (non male, per un ministro che dovrebbe evitarle), ai “rivoluzionari” a Cinque Stelle, che sull’argomento balbettano anche loro (l’Europa, l’Europa, l’Europa…).
Insomma, l’Europa è una medicina buona per tutto. Austerità perché ce lo chiede l’Europa. Sacrifici e nuove tasse perché ce lo chiede l’Europa. Poi, di fronte a un’emergenza, si invoca l’Europa. L’autogol è nell’aria, perché quando e finalmente l’Europa se ne occuperà scopriremo che abbiamo meno immigrati di molti paesi europei, e l’Europa ci dirà di accoglierne di più. E, si spera meglio. Sì, perché, per continuare, non si capisce cosa c’entri l’Europa con i migranti e i richiedenti asilo stipati nei lager, i materassi (quando ci sono) per terra, un cesso per duecento persone, donne e bambini in condizioni inumane, mesi e anni di detenzione che secondo la legge dovrebbero essere 35 giorni, un affare per gestori dell’emergenza che premia tutti tranne quelli che l’emergenza la vivono sulla loro pelle: i migranti. Insomma, se fino a ieri l’Europa era un alibi per le politiche economiche, oggi è un alibi per non affrontare le nostre vergogne, tipo la legge Bossi-Fini, la madre di tutti i naufragi. Cercare un capro espiatorio, si sa, è lo sport nazionale, e qui ne esiste un elenco infinito. Gli scafisti. Cattivi, certo, ma gli unici che offrono una via di fuga ai disperati che fuggono da guerre, dittature e carestie. Se ci fosse un corridoio umanitario, per dire, il problema dei trafficanti di uomini non esisterebbe, ed è il vecchio nodo del proibizionismo: se vieti una cosa, ci sarà chi la maneggia illegalmente. Poi il “buonismo”, entità volatile e comoda per fare spettacolo. Sarebbe insopportabilmente “buonista” accogliere chi scappa da una situazione insostenibile, mentre invece sarebbe più dignitoso il “cattivismo” di respingerli in mare, ostacolare i soccorsi minacciando di indagare per favoreggiamento che salva i naufraghi. Alla fine è un festival della malafede e della cattiva coscienza, dove il barile dei morti e dei prigionieri innocenti, futuri schiavi dell’economia sommersa italiana, viene scaricato ora qui ora lì, pur di non affrontare la situazione. Così, si assiste allo spettacolino indecoroso di gente che la Bossi-Fini l’ha votata, l’ha sostenuta, non l’ha mai osteggiata, l’ha applicata nel peggiore dei modi possibili, che ora si fa problematica e dialogante. Sì, in effetti… Sì, dopotutto… E si rimanda a una ridisegno più complessivo delle leggi sull’asilo e l’accoglienza (sempre se se ne occupa l’Europa). Che è il modo migliore per stare immobili e fermi ad assistere ad altre tragedie. Coraggio, ancora qualche giorno e Lampedusa sarà un ricordo, il suo cimitero dimenticato, i suoi morti annegati rimossi, i carcerati innocenti invisibili. Insomma, finirà lo psicodramma. Il dramma, invece, resterà tutto, invisibile anche lui, per chi non vuol vedere.

Delinquente

28 Settembre 2013 da bsìa

Berlusconi: un vero delinquente!!

La gloriosa imprenditoria italiana. Perfino peggio della politica

27 Settembre 2013 da Emilio Conti

di Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it

Tanti anni fa portavo i pantaloni corti, andavo in bici e facevo la raccolta delle figurine. E intorno a me era tutto un tuonare minaccioso: “Lo Stato non deve fare i panettoni!”. “Lo Stato non deve fare le automobili!”. “Lo Stato non deve fare l’acciaio!”. Poi sono diventato grande e mi hanno spiegato che a fare l’economia devono essere gli imprenditori, questi eroi moderni che rischiano del loro e possono pure vincere, se sono bravi. Ora, giorni nostri, non so i panettoni, ma le macchine le fa (?) Marchionne, l’acciaio lo fanno i Riva (!), le telecomunicazioni Tronchetti Provera, la compagnia aerea di bandiera Corrado Passera, Colaninno e alcuni coraggiosi imprenditori italiani che ci hanno spalato dentro una valanga di soldi (nostri), e ora la vendono ai francesi a meno di quanto offrivano cinque anni fa. Gli spagnoli si prendono Telecom, i francesi si prendono Alitalia, parlandone da viva, i marchi del lusso vanno anche loro verso la Francia, le fabbrichette vanno in Polonia durante le vacanze degli operai. Ce n’è abbastanza per denunciare un grave caso di strabismo: tutto questo parlar male della politica e dei politici ha messo in secondo piano le gloriose capacità dell’imprenditoria italiana che rappresenta l’altra metà delle corruzione. In termini generali, certo, a grandi linee: dove passa una mazzetta c’è un politico da un lato e un imprenditore dall’altro. E questo quando gli imprenditori non sono direttamente un’espressione politica, come furono i padroni “patrioti” che “salvarono” Alitalia, spinti da un Berlusconi in fregola elettorale e dalla speranza di futuri favori e contropartite. Ora si vede com’è andata a finire, con tanti saluti all’”italianità”, parola che echeggiò forte e chiara su tutti i giornali e che adesso potete archiviare forever. Quanto alle telecomunicazioni, potete mettere in fila tutte le volte che ne avete sentito parlare come settore strategico, asset irrinunciabile, motore della modernità del paese eccetera eccetera, e anche quello potete archiviarlo per sempre, dato che con la vendita di Telecom tutti i maggiori operatori telefonici che operano in Italia sono stranieri. A questo punto, il vero problema non è la spagnolità di Telecom o la francesità di Alitalia, ma l’italianità dell’Italia. Conosco l’obiezione: fare impresa in Italia è difficile, ma pare che sia difficile per gli italiani, perché se fosse difficile per tutti non verrebbero qui a comprare a man bassa. Poi, certo, possiamo fare collezione di belle frasi sulla casta, sulla politica, sui cialtroni che ci governano e che non spariscono mai e stanno sempre lì. Perché invece i Colaninno, i Bernabé, i Tronchetti Provera, i Passera spariscono? Non pare: saltano da un consiglio di amministrazione all’altro come usignoli sui rami, quasi sempre lasciandosi dietro disastri epocali e balzando a combinarne di nuovi. Sempre salutati come salvatori della patria, coraggiosi innovatori, costruttori di ardite strategie accolte dalla òla dei commentatori che dopo due, tre, quattro anni si esercitano a demolire quelle costruzioni. Pure loro (i commentatori) non se ne vanno mai: il loro passare dagli applausi (evviva, si salvaguarda l’italianità di Alitalia!) ai fischi (ma che avete fatto! Dovevate vendere subito ai francesi!) nello stesso film, addirittura nella stessa scena, è garanzia di durata. Il concetto di responsabilità (ho detto/fatto/pensato una cazzata, me ne vado) non è contemplato, chi rompe non paga, non porta via nemmeno i cocci, e si prepara a nuovi mirabolanti successi.

Chiariamo perché B. è stato condannato

2 Settembre 2013 da Emilio Conti

Alcuni giorni fa mia moglie stava leggendo su un quotidiano le motivazioni, da poco rese note, della condanna in terzo grado confermata a Berlusconi. A un certo punto mi ha chiesto: “Io non sono molto esperta degli argomenti riportati, ma mi piacerebbe che mi spiegassi, in parole semplici, del perché Berlusconi è stato condannato. Ti confesso che non è che ci abbia capito molto.” E in effetti, per una persona che non ha una certa preparazione, può essere poco comprensibile cosa sia veramente successo. Pensando che nelle condizioni della mia consorte ci siano parecchie persone, anche tra gli elettori del Pdl, che non capendo bene il reato commesso poi finiscono per credere a tutte le stupidaggini che vengono loro propinate da chi ha tutto l’interesse a non far capire niente, spero di fare cosa gradita riportando di seguito  la spiegazione che ho fornito a mia moglie che, finalmente, è stata in grado di comprendere bene il nocciolo della questione.

Come è noto Berlusconi è stato condannato in via definitiva per frode fiscale e il meccanismo da lui ideato è stato il seguente. Immaginate una società che opera nella  televisione. Per poter trasmettere programmi (solitamente serial o film) che non ha prodotto in proprio, deve acquistare i diritti da chi questi programmi ha realizzato. Supponiamo che la società B sia quella che deve acquistare questi diritti e che la società M (di solito americana) sia la produttrice dei programmi i cui diritti devono essere venduti a B. Il modo corretto per svolgere l’operazione è quello di B che contatta direttamente M per accordarsi sul prezzo per l’acquisto dei diritti di trasmissione. In pratica una normale trattativa tra acquirente e venditore. Ma qual’è stato il modo scorretto alternativo?

Immaginate che la società B costituisca all’estero altre tre società da essa segretamente controllate, società che nell’esempio chiameremo B1, B2 e B3. Invece di trattare direttamente con M, B fa acquistare i diritti, ad esempio a 100, da B1 (B1 acquista i diritti da M al prezzo di 100). B1 paga 100 e poi rivende gli stessi identici diritti a B2 a 130. B2 fa la stessa cosa con B3 e li rivende a 160. Infine B3 vende a B i diritti al prezzo di 180. Il risultato finale di queste transazioni, essendo le tre società B1, B2 e B3 tutte controllate da B, è che B effettivamente sborsa 180 contro un costo reale di 100. La differenza tra 180 e 100, vale a dire 80, rimane all’estero presso le suddette B1, B2 e B3. In pratica, con questo stratagemma, vengono costituiti all’estero fondi neri per 80 che poi verranno utilizzati per le più varie operazioni, di solito operazioni per niente lecite, altrimenti non ci sarebbe bisogno di queste manovre. Il primo risultato, quindi, di questa operazione, è la costituzione di fondi neri.

Ma c’è un altro effetto, effetto per il quale Berlusconi è stato condannato, che è quello di far calare (fraudolentemente) l’utile della società e quindi di pagare meno tasse. Vediamo perché. Come è abbastanza intuibile, l’utile di una società, ma anche di un semplice esercizio commerciale (negozio), risulta (in soldoni) dalla differenza tra i costi sostenuti per svolgere la propria attività e i ricavi ottenuti. Supponiamo allora, per proseguire nell’esempio, che la società B abbia ricavato dalla trasmissione dei programmi di cui ha acquistato i diritti la somma di 220. L’utile lordo (vale a dire al lordo delle tasse) risultante è di 40 (ha “incassato” 220 e ha sostenuto un costo di 180, quindi 220 meno 180 = 40) e su questi 40 vengono calcolate le tasse da pagare. Ma se B avesse trattato direttamente con M (come solitamente si dovrebbe fare) avrebbe sostenuto un costo di 100, e non di 180, con la conseguenza che l’utile lordo sarebbe stato di 120 (220 meno 100 = 120) e non 40 e di conseguenza le tasse da pagare sarebbero state molto maggiori perché calcolate su 120 anziché su 40.

È per questo che si parla di frode e non di semplice evasione perché è stato provato che il meccanismo appena descritto è stato scientemente studiato e attuato da Berlusconi per  ottenere il risultato di pagare meno tasse (oltre che a costituire fondi neri all’estero, nonché falsificare il bilancio). Spero di essere stato chiaro e soprattutto utile.

Un popolo di sudditi che si ribella solo al bar

10 Giugno 2013 da Emilio Conti

di Massimo Fini – http://www.massimofini.it/articoli/blog

A Istanbul, città particolarmente priva di spazi verdi, il premier Erdogan vuole togliere di mezzo il Parco Gezi, abbattendo 600 alberi, per sostituirlo con un grande centro commerciale, con tutti gli annessi e i connessi, simbolo, secondo lui, di una Turchia che corre felice verso lo sviluppo e la modernizzazione. La gente della città si è ribellata, ha occupato il parco, lo ha circondato, si è scontrata duramente con una delle polizie più feroci del Medio Oriente (qualcuno ricorderà, forse, ‘Fuga di mezzanotte’). Poi la rivolta è virata in senso politico, contro gli abusi e le violenze dell’ ‘amico Erdogan’ come lo chiama Berlusconi. Ma resta il fatto che è cominciata per la difesa di un parco che i cittadini di Istanbul amano.

A Milano, nell’area della ex stazione delle Varesine, era nato spontaneamente un bosco, un vero bosco, non l’odioso verde, aiulato e regolamentato, che non puoi nemmeno calpestare, pena multe salatissime da parte di vigili assatanati che hanno l’ordine di raccattar quattrini da cittadini già esausti. Miracolo a Milano. Un piccolo polmone verde quasi nel cuore della città. E’ stato raso al suolo in una sola notte e in poco più di un anno sono stati costruiti quattro o cinque ecomostri, costruzioni orribili che nulla hanno a che vedere con quell’opera d’arte che è il grattacielo Pirelli di Gio’ Ponti e Pier Luigi Nervi. Sull’area dell’ex Fiera Campionaria, dove da bambini i genitori ci portavano a fare il pic-nic, è successa più o meno la stessa cosa. A nessuno è venuto in mente di utilizzarla a verde (gli architetti si salvano la coscienza con i cosidetti ‘boschi verticali’ , figuriamoci, poco più della vecchia edera che scende giù dalle facciate). Eppure anche Milano, come Istanbul, è quasi priva di parchi. Come hanno reagito i milanesi? Con un ricorso al Tar.

In Tunisia  Ben Ali’ (gran protettore dell’ ‘esule’ Craxi) e la sua cricca sono stati spazzati via in due giorni con una rivolta violenta, anche se disarmata. Noi invece tolleriamo che partiti che hanno governato il Paese per vent’anni, portandolo sull’orlo del baratro, continuino a farlo, sotto la guida di un quasi novantenne, che non ha fatto un solo giorno di lavoro in vita sua, che nella sua lunga esistenza non ha mai preso non dico una posizione (sulla rivolta ungherese del ’56, sull’invasione russa della Cecoslovacchia del ’68), ma non ha mai espresso un’opinione men che banale e che, per la sua inesistenza, era definito dai suoi stessi compagni «un coniglio bianco in campo bianco» e che quando era giovane, si fa per dire, lo scrittore Luigi Compagnone descrisse come «nu guaglione fatt’a vecchio».

E’ che noi italiani abbiamo perso ogni vitalità. Siamo un popolo di vecchi. L’età media dei tunisini è di 32 anni, la nostra è di 44,5. Siamo sudditi e ci facciamo trattare da sudditi perchè ci comportiamo da sudditi. Subiamo tutto. La rivolta la facciamo solo a chiacchiera, nei bar: «Sono qui. Attendo solo un segnale». Ma va là.

Altro che Parco Gezi. Noi dovremmo tenere sotto assedio permanente il Parlamento e tampinare questi topi di chiavica in strada, per fargli sentire il nostro disgusto e il nostro disprezzo (senza toccarli, per carità, una sacrosanta sventola a Capezzone è un reato più grave dell’aver corrotto un paio di giudici e di testimoni per aggiustarsi le sentenze). E invece stiamo a guardarli in Tv, questi mascheroni, intervistati da giornalisti compiacenti e complici, in programmi manovrati da conduttori paraculi, di sinistra e di destra, il cui principale obiettivo è mantenere quelle decennali rendite di posizione che si sono accaparrati in un sistema in cui stanno incistati, come topi nel formaggio. E se per caso, per sfinimento, ti cade il telecomando, lei subito strilla: «Non l’avrai mica rotto!». C’è ben altro da rompere, in Italia.

IMU: un’imposta giusta e per questo odiata

20 Maggio 2013 da Emilio Conti

Il problema della tassazione, nel nostro Paese, sembra, in questi giorni, essere al centro del dibattito politico dopo che Berlusconi, lo sconfitto/vittorioso nelle ultime elezioni, sta imponendo al governo, cosiddetto delle “larghe intese”, la propria agenda a proposito dell’IMU. Infatti la rata che si sarebbe dovuto pagare il mese prossimo è stata sospesa. Un problema, quello della tassazione, che viene sempre proposto in modo superficiale, ad essere benevoli, senza mai affrontare i veri noccioli della questione. Si sente parlare di evasione, ma mai di come risolverla. Sentiamo parlare di pressione fiscale assurda e mai come si possa diminuire. Si parla di iniquità fiscale e mai sugli strumenti per renderla più equa.

Chi ha avuto la fortuna di studiare la Scienza delle finanze e lo ha fatto seriamente, e non imparando a pappagallo qualche nozione tanto per passare l’esame, sa che, tra gli altri, due sono gli aspetti al centro di questa disciplina: come l’imposizione di un’imposta cambia l’equilibrio di mercato e, guarda un po’, l’equità dell’imposizione. Quando si parla di un’imposta, quindi, sono questi gli aspetti che andrebbero valutati e l’IMU non dovrebbe sfuggire a questa analisi.

E l’IMU, parlando di equità, è un’imposta giusta! I motivi sono diversi. Il primo sta nel fatto che non è tanto, e non solo, un’imposizione sugli immobili presente in tutti gli stati evoluti, quanto proprio perché inserita nella realtà, tutta italiana, dove l’evasione fiscale riveste un ruolo enorme. Di fronte alla, apparente, difficoltà di combattere una piaga biblica come l’evasione, andare a colpire il frutto che questa evasione ha generato, come gli immobili, è, dovrebbe essere, sacrosanto. Anche perché, ovviamente, sono i cittadini più agiati ad avere uno o più immobili rispetto a chi non ne ha. Basterebbe solo questa argomentazione perché i cittadini consapevoli dovrebbero aborrire l’abolizione dell’IMU.

Ma c’è anche un altro motivo per cui l’IMU andrebbe mantenuta: quali sono le conseguenze della sua abolizione? E’ piuttosto ovvio che se un’imposta viene abolita il gettito da essa generato scompare e deve essere sostituito da qualcosa d’altro. E quel qualcosa d’altro, solitamente, è l’IRPEF e relative addizionali (regionali e comunali). Vale a dire che se si abolisce l’IMU si sposta la pressione fiscale dai beni (immobili in questo caso) ai redditi. Questo significa, nel sistema Italia con evasione fiscale abnorme, colpire sempre e solo chi le tasse le paga tutte e per intero, cioè lavoratori dipendenti e pensionati, a favore dei cittadini più agiati. E tutto questo è INIQUO! Che l’abolizione dell’IMU sia diventata la bandiera della destra, quindi, non dovrebbe stupire, visto che questa parte politica fa, giustamente, gli interessi del suo zoccolo duro, cioè i ricchi. Spiace che molti non troppo ricchi, ma proprietari di immobili, cadano nella trappola senza valutare le conseguenze: non pagheranno l’IMU ma poi i soldi glieli sfilano da un’altra parte. Un bombardamento propagandistico avverso a questa imposta ha indotto i meno dotati di strumenti culturali ad odiare una delle poche cose giuste attuate in Italia.

Questa situazione diventa ancor più paradossale di fronte alla prospettiva dell’aumento dell’IVA che dal primo di luglio dovrebbe passare dal 21% al 22%. Aumentare l’IVA significa far aumentare i prezzi, direttamente o peggio ancora con effetto leva, della stragrande maggioranza dei beni di consumo  che, oltre a far aumentare l’inflazione, ridurrà ancor di più il potere d’acquisto dei cittadini. E un minor potere d’acquisto chi colpirà maggiormente, i meno abbienti o i più ricchi? E la recessione aumenterà o diminuirà?

Proprio oggi ho letto che l’attuale “governo” sembra non dovere (volere?) intervenire per scongiurare l’aumento dell’aliquota IVA. Congeliamo l’IMU e facciamo aumentare IRPEF e IVA? Bella equità, e tanti saluti alla Scienza delle finanze e ai cittadini italiani.