Märiètä lä jäc’munä
26 Marzo 2017 da Emilio ContiVorrei ricordare, in questo post, parlando di alcuni componenti della mia famiglia e in modo particolare di mia nonna, di una strana consuetudine in voga nel paesello, ma non solo, parecchio tempo fa.
Ebbene, diversi anni fa non si era soliti chiamare le persone per nome e cognome, per cognome si chiamavano solamente le persone particolarmente in vista, ma con il solo nome e neanche quello esatto: o con un nome completamente diverso da quello di battesimo oppure con il corrispondente “vezzettativ-diminutivo o accrescitivo”. Esempi del primo caso sono i nomi affibbiati a una mia zia e a mia madre. La prima, che era stata battezzata Rosina, veniva da tutti, famigliari compresi, chiamata Palma. Perché? Perché era nata la domenica delle Palme. E, naturalmente, festeggiata in quel giorno … Rosina era sparito completamente e Palma è rimasto fino alla morte. Mia madre, invece, battezzata Giuseppina era chiamata da tutti, sempre famigliari compresi, Rita e festeggiata il 22 maggio.
Solitamente però i nomi di battesimo, e questo accade ancora oggi anche se in misura molto minore, venivano modificati. Altro esempio in famiglia, mio padre battezzato Luigi che è diventato Ginetto (secondo la seguente procedura: Luigi, Luigino, Gino, Ginetto) in dialetto Ginètu. In questi casi però c’era la possibilità, piuttosto frequente, che di Ginètu ce ne fossero diversi per cui era necessario affiancargli un identificativo per essere certi che ci si riferisse proprio a quel Ginètu: nel caso di mio padre l’identificativo era “äl murnè”.
Stessa sorte capitata a mia nonna, da cui il titolo del post. Nata come Maria il nome era stato subito modificato in Marietta, nel nostro dialetto Märiètä. E anche nel suo caso, visto che il nome Maria (Marietta) era frequentissimo, fu necessario affiancargli un identificativo che era “lä jäc’munä”. Ma che cavolo vuol dire, vi starete chiedendo? Ed è quello che per un certo tempo mi son chiesto anch’io, perché “murnè”1 era abbastanza semplice, ma “jäc’munä” era ostrogoto. E questa parola ha continuato a ronzarmi nel cervello per parecchio tempo: non era una parolaccia (come capitava per altri brüsacrist a cui erano stati affibbiati degli identificativi piuttosto volgari) perché veniva chiamata così anche in famiglia. E allora? Cosa mai significava quel “jäc’munä”? Non venendone a capo decisi infine di chiederlo a mia madre.
Il padre della Märiètä, mio bisnonno, si chiamava Giacomo che nel dialetto del tempo (che secondo me andrebbe recuperato) non era, come si potrebbe pensare oggi, Giacum (che è un’italianizzazione) ma Jacäm (sembra un nome biblico 😯 )! Lo Jacäm, inoltre, era anche un uomo di una certa stazza, non mi è dato sapere se perché fosse un armadio o perché affetto da abbondante pinguedine, per cui Jacäm si era trasformato in Jäc’mòn (Giacomone). Da qui il passo è semplice e abbastanza intuitivo: Märiètä lä jäc’munä,2 dunque, era “Maria figlia di Giacomo il grosso” e non la si poteva confondere con nessun’altra Märiètä. 😀
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