Alcune note sulla speculazione di borsa
29 Giugno 2010 da Emilio ContiIl post di sgur_di_trì1 merita alcune precisazioni:
- la caratteristica principale della speculazione è la durata: stiamo parlando di operazioni di borsa che, in alcuni casi, durano lo spazio di qualche decina di minuti. Parlare quindi di “investitori istituzionali” che cercano un buon investimento di durata medio/lunga” non deve ritenersi come un’operazione speculativa. Si tratta semplicemente di un investimento (come dovrebbero essere fatti tutti gli investimenti). Che poi, dati i volumi in gioco, queste operazioni modifichino i corsi delle borse fa parte del gioco;
- la speculazione è sempre stata considerata pericolosa da molti economisti. Uno dei più noti è James Tobin premio nobel per l’economia che già nel lontano 1972 propose l’introduzione di una tassa sulle transazioni a breve che da lui prese il nome: la Tobin Tax;
- non si può parlare di speculazione senza parlare dei cosiddetti “derivati” una serie di prodotti finanziari nella cui complessità si perde pure il sottoscritto;
- quando si parla di Borse e speculazione non bisogna mai dimenticarsi delle cosiddette “Agenzie di rating” che con i loro giudizi possono creare dei veri e propri disastri. In buona fede? In malafede? Sulla loro buona fede esistono parecchi dubbi. Sicuramente queste agenzie non adottano metodologie di valutazione oggettive, altrimenti non si spiegherebbe il fatto che una società ottenga un certa valutazione dall’agenzia A e una valutazione diversa dall’agenzia B. E poi, chi controlla queste agenzie?
La vera novità è che da alcuni anni si è scoperto che gli Stati possono fallire. Prima no? Evidentemente in misura molto minore, ma lo sono diventati quando sono stati costretti, volenti o nolenti, ad adottare politiche economiche che non oso definire demenziali. Se, come nel caso dell’Europa, ci si lega mani e piedi alla politica monetarista tedesca questo è ciò che può accadere. Quando gli stati, anziché finanziare la propria spesa pubblica con “mezzi propri” (prelievo fiscale) decidono di ricorrere al debito pubblico questi sono i risultati.
Il vero problema di fondo, però, è questo modo di fare economia. Se dopo le continue crisi che si susseguono dal 2002 ancora non si mette in dubbio il “neoliberismo” allora queste sono le situazioni in cui stiamo vivendo. Come dice Richard Sennett: “I politici non hanno capito che il capitalismo finanziario è inerentemente distruttivo e sembrano paralizzati”.
Il problema è questo!
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