“Fast food”: un piatto unico
28 Gennaio 2010 da sgur_di_triQuella che sto per raccontarvi è una storia vera. Una storia di una semplicità disarmante (almeno questo è l’effetto che ha fatto a me quando me l’hanno raccontata), fatta di sguardi e di silenzi. Una storia da “fast food” (pasti veloci), dove appunto si è svolta la vicenda, un luogo dove tante vite si incrociano solo per un attimo e forse non si rincontreranno più, ma che a volte lasciano il segno (come nel nostro caso).
Una storia che ognuno dei protagonisti potrà raccontare ad amici e conoscenti e che, dopo averla letta, credo anche voi racconterete in qualche occasione (o vi ricorderete quando entrerete in un Fast Food), perché rimarrà sicuramente nella vostra memoria per parecchio tempo. Ma bando alle ciance, provo a raccontarvi la breve storia, che, per comodità narrativa, tratterò in prima persona.
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Qualche mattina fa sono andato in centro a Milano per sbrigare alcune faccende. Speravo di cavarmela in fretta, ma faccio tardi. Decido quindi di andare a mangiare qualcosa in un Fast Food. Accidenti – dico fra me – sono le due passate e qui è ancora pieno. Ah! E’ vero! Questo è l’orario dei bancari, ma non solo! E sì, in quel momento li noto: in giacca e cravatta, tutti uguali, tutti incolonnati per il pranzo. E vabbè! Che faccio? Resto o cerco un altro posto? Visto l’orario, decido alla fine di prendere il vassoio e di mettermi in fila anch’io con loro.
Mi faccio dare un piatto di rigatoni al sugo, una bistecca di pollo e un’insalatina. Prendo il tutto, pago e mi cerco un posto dove sistemarmi. Mi faccio strada in mezzo alla gente, giro un po’ a vuoto (non molto però), finché non vedo un buco in una di quelle capaci mensole circolari che fungono da tavolo e che avvolgono le enormi colonne portanti del locale, dove già altri commensali stavano mangiando, ognuno appollaiato su alti sgabelli (tipo trespolo).
Mi sistemo anch’io, salgo sul mio sgabello, ma mi accorgo subito di aver dimenticato di prendere il pane e le posate. Mi giro, scendo dallo sgabello, lascio lì incustodito il mio vassoio e vado a prendere prima il pane e poi le posate che erano poco più in là e, facendomi largo in mezzo a tutta quella gente, torno verso il mio vassoio.
Ma, con mia grande meraviglia, vedo un ragazzone di colore (vestito bene, devo dire!) che stava mangiando i miei rigatoni. E sì! Quello, buono buono, si era seduto al mio posto e tranquillamente si stava mangiando il mio pranzo. Mi sono avvicinato, sono rimasto lì fermo con in mano il pane e le posate e l’ho guardato. E no! Questo è troppo! Però non sapevo cosa fare, dal momento che anche lui, dopo avermi guardato, ha fatto finta di nulla e ha continuato imperterrito a mangiare. E devo dire che lo faceva con un certo appetito.
Che faccio? E lì, su due piedi (e sì, perché io ero lì in pedi), prendo una decisione che alla fine si rivelerà imperdonabile: dal momento che, nel frattempo si era liberato lo sgabello a fianco, mi ci appollaio sopra, mi sistemo e … d’istinto incomincio a mangiare anch’io dal “suo” piatto (che poi era il “mio” piatto). Volevo proprio vedere che cosa avrebbe fatto!
Il ragazzone di colore mi guarda, lo guardo anch’io, insomma ci guardiamo un attimo, e poi – forse non mi crederete, ma è andata proprio così – tutte e due (alternando le forchettate) abbiamo mangiato dallo stesso piatto prima i rigatoni e dopo, in silenzio, siamo passati pure alla bistecca e all’insalatina.
Alla fine mi dice: “Posso offrirti un caffè?” Che sfacciataggine, penso io, non c’è limite all’indecenza, questo mi vuole anche sfottere. Ma non volevo andare oltre, davanti a tutta quella gente, e quindi gli ho risposto con un semplice: “No. Grazie”. A quel punto il ragazzone è sceso dallo sgabello, con cortesia mi ha salutato ed è uscito dal locale.
“Accidenti, che pranzo!” – mi sono detto – “Anzi, mezzo pranzo! Ma guarda cosa ti può capitare al giorno d’oggi! Che razza di gente che c’è in giro! A questo punto però un buon caffè me lo merito proprio!”. Scendo anch’io dallo sgabello, faccio il giro della colonna (dove prima stavo seduto) per andare al banco del bar e, con mia grandissima meraviglia, cosa ti vedo? Non ci crederete, ma rivedo il mio vassoio! Era lì, fermo, intonso, completo di rigatoni al sugo, bistecca di pollo e insalatina! Non si era mai mosso da lì!
In un istante mi sono bloccato completamente! Mah?! Cosa ho combinato! E in un attimo ho rivissuto come in un film quanto accaduto, dal principio alla fine, attimo per attimo. Mamma mia! Sono stato io a mangiare nel suo piatto, non lui nel mio! Che figura! Accidenti, che giornata! Ma perché non ho parlato! Bastava poco!
Sono rimasto impietrito per non so quanto tempo a (non) pensare. Non sapevo più che fare. Quando mi sono ripreso, ho chiesto al barista se per caso conoscesse il ragazzone di colore che poco prima mangiava seduto ad uno dei tavoli circolari delle colonne. Saputo che era un cliente abituale e che tutti i giorni era lì a pranzare, ho fatto l’unica cosa che, in quel momento, mi sembrava giusto fare: ho lasciato un pranzo pagato, e, non potendo farlo di persona, ho chiesto di scusarmi con lui per quanto successo.
Mentre in macchina andavo verso casa mi è balenato un pensiero: chissà cosa avranno pensato le altre decine di persone che stavano anche loro mangiando nel locale? Avranno certamente pensato che quei due dovevano essere proprio degli amiconi, per mangiare nello stesso piatto!
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