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Il massacro prossimo venturo

11 Febbraio 2015 da Emilio Conti

Questo post non sarà, per forza di cose, breve perché l’argomento che affronterò è piuttosto complesso. Cercherò di esporlo per punti cercando di essere il più conciso possibile.

1Un pericolosissimo precedente – La notizia ha fatto più scalpore per la reazione di Salvini che per la sua sostanza. Sto parlando della bocciatura del referendum sulla legge c.d. Fornero da parte della Corte Costituzionale. Legge che, lo ricordiamo, modificava l’età pensionabile sia per gli uomini che per le donne (e di molto per queste ultime); estendeva a tutti il sistema contributivo; aboliva le pensioni di anzianità. Sebbene le motivazioni non siano state ancora pubblicate, secondo alcuni esperti la bocciatura deriverebbe dal fatto che l’articolo 75 della Costituzione “stabilisce non poter essere sottoposte a referendum le leggi di bilancio”. Inoltre ci sarebbe anche una precedente sentenza, la 2/94, che anche allora respinse un analogo referendum sulla riforma Amato con l’esplicita motivazione che “le riforme pensionistiche rientrano nelle leggi di bilancio”. Ma il punto sta proprio qui: è lecito considerare una riforma del sistema previdenziale come legge di bilancio? Ricordo, inoltre, che anche il sindacato CGIL si era dichiarato favorevole al referendum. L’importanza di questo fatto sarà chiara più avanti.

2Il nuovo presidente dell’INPS – Come è noto, la notizia è proprio di oggi, il prof. Tito Boeri, professore di economia all’università Bocconi, è stato confermato nuovo presidente dell’INPS. Quando la proposta è stata avanzata, un coro di voci entusiaste si è alzata da tutti gli schieramenti politici, M5S compreso, e da tutta la stampa. Questa è stata una mossa geniale da parte del premier Renzi per due motivi: a) Boeri era considerato un anti-renziano e così facendo Renzi può vantarsi di dire “Avete visto? Non sono un tirannello come alcuni mi descrivono se propongo un personaggio che è sempre stato critico nei miei confronti”e b) il prof. Boeri è stato il fondatore del blog lavoce.info dal quale ha in continuazione proposto che, per ragioni di equità (sic), il sistema contributivo andrebbe applicato anche ai cittadini che sono già in pensione. In questo modo il Renzi cattura, come si suol dire, due piccioni con una fava: accreditarsi come leader “democratico” (promuove perfino un suo oppositore) e far fare un’altra riforma pensionistica (l’ennesima) che costerà lacrime e sangue ai cittadini trincerandosi dietro all’esperto: “L’ha proposta lui e chi sono io per dubitare di un economista?”

3Un sistema sperequato – Che il nostro sistema pensionistico contempli delle situazioni agli antipodi è cosa nota: da una parte pensioni che raggiungono cifre assurde per magnanimità e dall’altra pensioni minime di importi ridicoli. Sembrerebbe quindi di buon senso diminuire le pensioni alte e altissime ed aumentare quelle minime. Chi può dirsi in disaccordo? Il problema è un altro: il metodo che si vuol scegliere, sistema contributivo applicato anche a chi è già andato in pensione con il sistema retributivo, è quello più adatto per raggiungere lo scopo di una maggiore equità?

4Un unico scopo: far cassa –  A prima vista il sistema che si sta delineando sembrerebbe corretto: quanti contributi può aver versato una persona per percepire una pensione da 10.000 euro mensili, o più alta? E’ ovvio, dicono, che tali pensioni siano frutto del sistema retributivo: nessuno può aver accantonato tanti contributi da giustificare una simile pensione. La conclusione conseguente è che quel sistema non è più tollerabile. Attenzione alle parole: che non sia tollerabile non significa che non sia sostenibile. Il fatto è, però, che se si applica a tutte le pensioni il metodo contributivo, non si vanno a colpire solamente quelle più alte (e qui sorge la prima domanda: da che importo una pensione può considerarsi alta?) ma, appunto, tutte! E il grosso delle pensioni è rappresentato dalla fascia che va dai 2.000 euro ai 3.000 euro lordi, il che significa pensioni nette da 1.550/1.600 a 2.400 euro, che verrebbero decurtate rispettivamente del 20% fino, in proporzione, al 30%. Non lo dico io, l’ha scritto sul suo blog proprio il prof. Boeri. Ma c’è anche un paradosso. Non potendosi immaginare che tale sistema si applichi solo a pensioni da un certo importo in su (sarebbe incostituzionale), il sistema impatterebbe anche sulle pensioni minime con il rischio di abbassare ulteriormente anche quelle. Allora dove starebbe l’equità? Ho il brutto presentimento che la riforma, credetemi Boeri la presenterà quanto prima e verrà accolta con scene di giubilo dall’attuale governo, servirà, come sempre, d’altronde, per fare cassa.

5Da sperequazione a sperequazione – Se l’attuale sistema è sperequato (pensioni troppo alte da un lato e pensioni troppo basse dall’altro) anche la riforma che si sta delineando andrà a colpire solo ed esclusivamente una, e una soltanto, categoria di pensionati: quelli che hanno svolto un lavoro dipendente. Infatti, in Italia a fianco di un sistema retributivo è sempre esistito un sistema contributivo: il primo riservato ai lavoratori dipendenti1 (se non hai una retribuzione come faccio a calcolarti una pensione in percentuale sulla stessa?) e il secondo che riguardava tutti gli altri lavoratori i c.d. indipendenti2 (che infatti non hanno una retribuzione fissa). Per tutti, però, l’ammontare dei contributi da versare era proporzionale al reddito dichiarato con il bel risultato che la categoria degli indipendenti, potendo evadere, ha finito per versare poco e, di conseguenza, percepire poco. E qui sorge una domanda: non sarà che le pensioni basse riguardano in maggioranza questa categoria di lavoratori? Non è che la manovra in progetto finirà per colpire gli ex lavoratori dipendenti (che han sempre pagato fino all’ultimo centesimo in tasse e contributi) e favorire altri che magari hanno evaso e si meritano la bassa pensione che percepiscono?

6Attuazione della riforma – E’ evidente che per attuare una riforma simile sia necessaria un legge ad hoc e non si possa procedere mediante il c.d. contributo di solidarietà, già tentato e respinto con perdite.

7Chiusura del cerchio – Se l’unica strada percorribile è quella della legge, ne consegue che una volta approvata il solo strumento per farvi fronte rimarrebbe il referendum. E qui si chiude il cerchio: dal momento che la Consulta ha già dichiarato (vedi il punto uno precedente) che le riforme pensionistiche sono a tutti gli effetti “leggi di bilancio” qualsiasi referendum indetto per abolirla vorrebbe inesorabilmente bocciato con il risultato di blindare definitivamente la legge. A meno di non trovare un giudice che si ricordi dei “diritti acquisiti”. Ma in Italia di diritti, acquisiti o meno, al cittadino ne rimangono ben pochi.

8Lavaggio del cervello – Per far accettare una simile riforma è necessario (?) “formare” un’opinione pubblica favorevole. E già ieri sera è incominciato il lavaggio del cervello al cittadino sprovveduto. Durante la trasmissione di Giovanni Floris (Di martedì) su La7 ne ho avuto un esempio. Un’intervista al solito “dotto esperto” che mostrava, tutto compunto, come una pensione di circa 9.500 euro mensili (mi sembra che si parlasse di pensione netta) applicando il sistema contributivo si sarebbe ridotta a 5.200 euro mensili: una riduzione del 45%. Qual’è il messaggio che si vuol fare arrivare al cittadino? “Vedete? Uno non può vivere benissimo anche con 5.200 euro mensili? Non è ancora una più che buona pensione?”. La stessa simulazione, però, si guardano bene dal farla su pensioni da 1.500 -2.000 euro mensili netti, vai poi a spiegargli che i 1.500 diventano 1.200 e i 2.000 diventano 1.500 (20% e 25% in meno). Prova un po’ a farlo e poi vedi cosa succede.

9Conseguenze – E’ ormai opinione consolidata da tutti gli economisti, intellettualmente onesti, che per uscire dalla crisi agire dal lato dell’offerta non dà più nessun risultato e che è necessario, invece, agire sul lato della domanda, vale a dire aumentare il potere d’acquisto dei cittadini. E’ altresì noto che i pensionati hanno rappresentato un solido fattore di welfare nei confronti dei propri figli che con un lavoro precario (o nessun lavoro) non hanno accesso né al credito al consumo né ai mutui. Carenza che è spesso supplita dai genitori pensionati che, possedendo un reddito certo, hanno contratto mutui e prestiti per i figli (o anche per i nipoti). Adesso toglietegli pure un bel 20 o 30 percento di pensione e poi vediamo cosa succede a coloro che si sono indebitati a medio/lungo termine. Andremo ancora incontro ad una tremenda contrazione della domanda aggregata e, oltre agli immaginabili contraccolpi sociali, al un ulteriore peggioramento della crisi.3

10Auguri

  1. Privati e pubblici []
  2. Commercianti, artigiani, imprenditori, liberi professionisti []
  3. Senza contare che già i pensionati sono penalizzati perché le pensioni non recuperano l’inflazione e, come ha rivelato uno studio sindacale (non mi ricordo di quale sindacato), in 10 anni, proprio per il mancato adeguamento all’inflazione, il potere d’acquisto scende di un 30%. []

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